E chissà se prima che il cuore lo tradisse beffandolo proprio il primo di aprile, avrà pensato alla sua Lazio, lui che aveva promesso di fare tantissimi soldi per comprarla e lo fece. Lui che è LA bandiera assoluta, lui che voleva vincere e vinse. A Giorgio Chinaglia sono legate innumerevoli emozioni, innumerevoli volti e nomi indimenticabili come Maestrelli e Re Cecconi, ma la Lazio di Long John non è solamente quella dei nostri padri, è anche quella nostra, attuale, quella che non è passata ma è sempre così presente.

 Giocava in lei e per lei, ha messo i soldi ed il cuore, lui che chiamava “Capitano” Pino Wilson e non si è mai appropriato di alcuna fascia morale. Scappava, tornava, dalla Lazio non poteva disintossicarsene poichè se ne era ammalato inguaribilmente. Tornava sempre dalla Lazio, che poi era in fondo la sua vera America. Ce l’ha fatta sempre a ritornare e c’è tornato per sempre a Roma. Di Chinaglia si ricordano tantissime cose, ma quelli che hanno avuto l’onore di conoscerlo, ti racconteranno prima di tutto della grande umanità. 

Mi ricordo mio padre con la voce sommessa e l’aria mesta: “E’ morto Giorgione!”, raramente ricordo mio padre così, solamente per la perdita di parenti stretti. Ma sapete che c’è, Chinaglia era la lazialità in sè stessa, è entrato nelle nostre case, portava la gente allo stadio, calciatore, presidente e tifoso, quel giorno è morto non solo l’uomo, ma un capitolo della nostra storia, un pezzo della Lazio.

Chinaglia che andò via cercando fortuna ma che non trovava pace lontano dalla sua Lazio, tornava ossessivamente, anche problematicamente. Ogni uscita di scena preparava tutti ad un ritorno con la fanfara, in grande stile così com’era in area di rigore. Ogni saluto era un chiaro messaggio: “Aspettatemi perchè quel posto è solo mio”. Aveva provato ad andare via nel 1975, Lenzini minacciò provvedimeti e Giorgione tornò.Maestrelli era ormai quasi vinto dalla malattia ed in panchina c’era Corsini, inutile dire che fu scontro e Tommaso ritornò un’ultima volta. L’arrivederci però arrivo nell’aprile del ’76, poco dopo andò via anche il Maestro per sempre. 

In America a 36 anni ascoltò un disastroso risultato Milan-Lazio, serie B, persa dai biancocelesti per 5-1. Era il 1983 e lui tornò da presidente nonostante la famiglia non era d’accordo. Il passo più lungo della gamba, sapeva già che restare a galla non sarebbe stato facile per i debiti esistenti, ma aveva deciso che la Lazio doveva essere sua. Ci riprovò nel 2006 seguendo una cordata che voleva acquisirla da Lotito, ne seguirà lo scandalo che tutti conosciamo e di cui non è il caso di parlare. 

L’ultimo suo ritorno a Roma fu nel 2013, il ritorno quello vero quello da cui non si può più andar via,  quando i compagni di squadra lo riuniscono a Tommaso Maestrelli nel cimitero di Prima Porta. Chinaglia ha sempre incarnato e lo fa ancora, lo spirito e l’essenza della lazialità, ciò che spinge a crederci fino in fondo, sempre e nonostante tutto. La sua vita comunque la si voglia leggere, anche nei capitoli bui fatti di dissacrazione dell’immagine stessa di Giorgione, stuzzicherà sempre il fascino dell’icona immortale, a lui che sempre tutti gli è stato perdonato. Ha sbagliato, ha riposto fiducia in contatti sbagliati, ma ha sempre fatto ciò in suo potere per ricompattare l’ambiente e mai per dividerlo. Il laziale non dimentica che fu proprio Long John a cambiarne la mentalità, il tifo con i suoi estremismi e le sue fragilità. La Lazio Giorgione l’ha fatta rispettare!

Ancora sia forte quel grido di battaglia che fa rima con Chinaglia, quel nome che echeggiava tra gli spalti e ne diventava lo striscione perfetto. Lui che senza la sua Lazio non trovava mai un posto, lui che non è stato un giocatore della Lazio, ma ne è l’essenza, oggi, domani, dopodomani, in modo perenne. E se come si dice “un giocatore muore due volte, la prima quando smette di giocare”, tu per tutti noi e quelli che verranno ci sarai sempre: la Lazio dei nostri padri, la Lazio dei nostri figli! Sventoli ancora la nostra bandiera: AUGURI DA QUI SOTTO LONG JOHN!

 

 

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