L’ aquila biancoceleste fa fatica a trovare il cibo per il proprio sostentamento all’interno dei confini Nazionali ed è costretta a migrare in Europa per procurarselo.

 

Una Lazio simile ad una moneta a due risvolti (inguardabile nella prima frazione, piu’ convincente nella seconda), dimostra ancora una volta tutte le sue difficoltà in campionato. La domanda che al triplice fischio finale, tutti si saranno sicuramente posti e’ la seguente: ma e’ mai possibile che l’aquila biancoceleste, per procurarsi il cibo per il proprio sostentamento, sia costretta a migrare in Europa? Quesito a cui è difficile trovare una risposta, anche perchè questa squadra, è tremendamente simile nei protagonisti, a quella che l’anno scorso, con un calcio frizzante e divertente, riuscì a stupire tutti, conquistandosi a sorpresa la qualificazione ai preliminari di Champions League. Ricordate il pressing asfissiante e l’inesauribile movimento senza palla che consentì di rimontare lo svantaggio notturno contro il Milan?Svanito di colpo.. E vi ricordate la caterva di goal messi a segno e distribuiti equamente tra tutte le bocche di fuoco del reparto avanzato?Adesso si segna con il contagocce… Difficile arrivare ad una risposta convincente, sarebbe forse piu’ facile risolvere un cubo di Rubik, anche perchè tutto ciò è dovuto  molto probabilmente ad un coacervo di cause che trovano la loro scaturigine nei meandri di uno spogliatoio che si è trovato a dover risolvere più di una bega (dalla questione relativa alla fascia di capitano, a quella concernente le voci di mercato che hanno interessato alcuni top-player della rosa), in una preparazione atletica troppo approssimativa (ancora numerosi gli infortuni muscolari che hanno rabberciato nel corso della stagione una rosa già ristretta), in un gioco troppo prevedibile, tutto improntato su un ripetitivo 4-3-3- impostato sulla direttrice- gioco sulle fasce- sovrapposizione tra esterni alti e bassi ed altre non meno importanti da menzionare ma che spesso sono state una diretta conseguenza di quelle appena menzionate. In questo marasma generale, anche il tecnico Pioli ha perso probabilmente la bussola della nave, errando spesso in molte scelte tecnico-tattiche, a differenza di quanto accadeva lo scorso anno quando mostrò una spiccata capacità di leggere in corsa le partite. Un esempio lo si è avuto anche oggi, quando ha preferito Cataldi (da dimenticare la sua prestazione) al serbo Milinkovic- Savic (il migliore da quando è entrato sul rettangolo verde), lo snervante  Felipe Anderson a Candreva ed il disastroso Djordjevic al decisivo Keita. Che la società abbia deciso di comune accordo di trascurare il campionato, ormai realisticamente ed obiettivamente diventato privo di interesse per la Lazio (a meno di miracoli, ovviamente), per profondere tutte le proprie energie nell’ Europa League, facendo cosi’ rifiatare alcuni calciatori? Potrebbe anche darsi e molto probabilmente sarà anche così, però quello che non è accettabile e’ l’atteggiamento remissivo e rinunciatario con cui i ragazzi entrano in campo. Non e’ concepibile cominciare a giocare e prendere campo, soltanto quando l’ottimo e grintoso Torino, tira i remi in barca, decidendo all’improvviso di fermare il proprio terribile pressing che aveva per tutto il primo tempo, mandato completamente in tilt  Biglia, Parolo e Cataldi. Eh si perchè la straripante forza atletica di Acquah, Benassi e Bruno Peres, uniti al dinamismo della ben assortita coppia offensiva composta da Immobile e Belotti, hanno completamente fatto pendere l’ago della bilancia in favore del Toro che soprattutto sulle corsie esterne (quella mancina in particolare) ha fatto tutto ciò che voleva al punto che se gli ospiti non sono capitolati, lo hanno dovuto solo ed esclusivamente alla dea bendata. Quando poi nella seconda frazione di gioco, Ventura ha comandato per fortuna ai suoi di abbassare i ritmi per difendere il prezioso vantaggio, sono usciti lentamente fuori i palleggiatori Biglia e soprattutto Milinkovic- Savic, che hanno cominciato a dirigere l’orchestra sempre piu’ vicino all’area di rigore avversaria, fino alla rete del meritato pari di Biglia, su calcio di rigore. Unica nota positiva in una domenica dall’ormai usuale bicchiere mezzo-vuoto, è rappresentata finalmente dalla decisione dell’allenatore emiliano di sperimentare il trequartista in appoggio alle due punte. Finalmente l’ex Bologna ha avuto il coraggio di sperimentare  nuove soluzioni tattiche, con una maggiore ricerca di corridoi interni e  rapidi uno-due con il tentativo di penetrare nel cuore dell’area di rigore avversaria, come si e’ visto spesso soprattutto nella seconda frazione. La scelta dell’uomo a cui affida

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